Che c’è di male nel volere certezze? Voler essere cauti, previdenti, preparati per le avversità è un desiderio comprensibile e sensato, ma non lo è più quando è una reazione al senso di perdita dell’Essere, una ricerca coatta e inconsapevole di ricreare l’idea che abbiamo dell’esperienza della sicurezza. Vogliamo sentirci responsabili, meticolosi, credibili, parte di un universo che contiene e sostiene a ogni passo e finiamo per chiuderci in una prigione di cinismo.
Il bisogno e la ricerca di certezze in questi ultimi anni è stata brutalmente risvegliata e scatenata dallo stile comunicativo ambiguo dell’informazione pubblica e dai suoi contenuti controversi e contrastanti. In questo anelito a voler essere bene informati e pronti a gestire qualunque cosa sorga nel nostro cammino si nascondono tuttavia diverse possibili trappole. Molti individui dubitano e mettono in discussione tutto per scoprire di cosa e di chi davvero potersi fidare, per identificare un orientamento garantito e placare le paure. Un desiderio che si basa sul preconcetto che dubbio e fiducia siano antitetici.
Questo preconcetto porta a un atteggiamento di fondamentale scetticismo o di critica verso i valori ideali e spirituali e definisce l’ambiente mentale sospettoso da cui la preoccupazione e il cinismo si manifestano. Si vive in allerta, immaginando pericoli che potrebbero accadere e si cercano risposte e situazioni che rassicurano. Si cercano false sicurezze all’esterno di sé, nei segnali, nel lavoro, nelle abitudini e nei rituali, in un maestro o un insegnante, in un metodo o un modello, in relazioni e famiglie malsane. Si chiude la porta della reale paura, si soffoca la realtà e si offusca la verità con formule pronte.
La trappola è che quando la sicurezza interiore si basa sulla ricerca di certezze esteriori e sulla convinzione che il mondo sia un luogo pericoloso, ci si imbarca nella direzione inversa a quella anelata.
Sappiamo quanto le dottrine religiose sono basate sulla fede cieca, sull’essere credenti. Hanno successo nella mente del seguace, quella che cerca convinzioni invece di verità, accetta e segue ciecamente i precetti divulgati da di chi è ritenuto un’autorità dalla convenzione e dalla maggioranza e che non si prende la responsabilità della propria vita. La vera fede non è cieca, bensì all’opposto è una visione sveglia, la massima essenza dell’intelligenza.
La credenza di per sé è senza discernimento. Induce a sentirsi irrequieti, abbandonati, traditi, impauriti e vulnerabili. È un’attitudine che porta ad alimentare il sospetto e a proiettare le proprie paure ed emozioni all’esterno e quindi a non riuscire a vedere le cose per come realmente sono. Rinforza l’attaccamento ai pregiudizi per sentirsi al sicuro, in salvo. Porta a illudersi di sapere, a non indagare e investigare, a non osare sperimentare, non avere coraggio di esplorare lo sconosciuto da soli. Provoca la tendenza a mettere in dubbio il positivo, non con un’attitudine aperta per scoprire se è attendibile, ma con il pregiudizio che non lo è. Nutre il bisogno di seguire procedure mantenendo la reale paura inconsapevole. Induce un senso di confusione interiore e disorientamento. Spinge a mettere alla prova l’affidabilità degli altri, a mandare messaggi ambigui e contraddittori, a reagire in modo imprevedibile a ipotetici minacce esterne. Fa credere di essere in grado di leggere il pensiero e rende pessimisti e lamentosi negando di esserlo
Il cinismo che nutre questo schema è confuso con realismo e vive con il senso di responsabilità personale di doversela cavare da soli, di difendersi, di essere costantemente vigili, di anticipare i problemi, di analizzare sistemi, di ricercare e riparare ciò che destabilizza. Provoca nervosismo, preoccupazione e ribellione e trasforma l’intuizione in persecuzione di se e degli altri. Sono gli altri a essere creduloni, complottisti, inaffidabili, pericolosi e a non seguire la giusta scienza.
Spesso al dialogo interno ricco di assolutismi ideologici si accompagna la dolorosa esperienza emotiva di dipendenza, senso di inferiorità e impotenza e anche specifiche tensioni fisiche nella zona del diaframma addominale e della gola. La sensazione è quella di fame d’aria, di voce che non esce e di essere imprigionati in un sistema nervoso instabile.
Il dubbio e il mettere in discussione sono importanti, tuttavia è necessario che siano a servizio della verità e della fiducia, che conducano a un’intelligenza raffinata, alla comprensione e alla consapevolezza e che le alimentino e le sostengano. Se imprigionano nell’ansia sono motivati dalla paura della paura e dalla sfiducia, non dall’amore per la verità.
Il dubbio non è contro la fiducia, in realtà il dubbio è un servitore della fiducia, è l’inizio della sua scoperta. Il bisogno di credere esiste solo quando non sappiamo. Se conosciamo non c’è bisogno di credere. È la discriminazione, non la credenza, che conduce l’uomo alla fiducia. Un uomo che crede non indaga mai. E le credenze sono anche superstizioni e impedimenti alla creatività, il più grande ostacolo al risveglio della discriminazione. Una mente chiusa nel pregiudizio non può conoscere la verità. La verità è scoperta, rivelazione costante tramite l’indagine, una ricerca libera da preconcetti e cinismo. Credere è condizionamento, mentre indagine è pensiero creativo. Credere è programmazione, mentre indagine è rivoluzione. Il rifiuto di parti di se stessi, soprattutto quando non riconosciuto, porta al rifiuto dell’altro ed è dolorosissimo. È un costante abbandono di sé. È masochismo, disperazione.
Qualcuno ora ha già compreso che le qualità dell’esperienza che sto descrivendo appartengono al punto Sei dentro ognuno di noi. Ovviamente molto più forti e radicate per chi vive in questo territorio, Il tipo Sei. Tuttavia è importante riconoscere quanto tutti, indipendentemente dal tipo, abbiamo accesso alle qualità di questo punto soprattutto quando siamo nell’area delle certezze.
C’è una parte di noi che costantemente impegna tempo ed energia alla ricerca di qualcosa e qualcuno che possa essere affidabile e stabile. Che cerca di organizzare e mantenere alleanze e strutture per la salvaguardia e la continuità della sicurezza, per una falsa versione di fiducia che mai potrà soddisfarci. Tutti abbiamo fatto esperienza del preferire lamentarci dell’altro invece di cambiare noi stessi, di dubitare anche di ciò che sappiamo, di rimanere in situazioni chiaramente malsane per non rischiare un peggio immaginato.
A rendere ancora più complicato questo schema c’è il fatto che il punto Sei in ognuno di noi è in perenne conflitto con un’altra parte, quella che ha totale disinteresse per la realtà e preferisce sognare a occhi aperti, che vuole adagiarsi ed essere lasciata in pace, che non vuole uscire dalle proprie abitudini e impegnarsi a cambiare. Una parte che non vuole ascoltare e tantomeno seguire l’intuizione che saprebbe benissimo cosa scegliere, cosa fare e da che parte andare, che preferisce rimanere nel piccolo mondo conosciuto, che non vuole prendersi la responsabilità della propria vita. Sotto il tappeto dell’attenzione e della vigilanza ci sono indulgenza e disimpegno con se stessi.
Come pratica per scoprire il nostro punto Sei bloccato nello schema limitante potremmo esaminare quali sistemi di sicurezza sociale abbiamo costruito nella nostra vita, se davvero ci danno fiducia, se ci rendono più sicuri di noi stessi e quanto ci costano. Quali sono i fondamenti del nostro sistema di credenze e come valutiamo la verità o la falsità di una convinzione. Poi è utile intercettare una reazione tipica dei momenti di dubbio: un pensiero, un’emozione o una sensazione fisica. Conoscere come funzioniamo nella mente, nel cuore e nell’agire è l’unica via di libertà dall’automatismo.
Il paradosso è che possiamo essere nella fiducia di noi stessi e della vita solo se siamo coraggiosi e ascoltiamo la nostra parte intuitiva, senza soffocarla e zittirla con il pensiero ordinario. Ascoltare e seguire la guida del proprio intuito è il passo fondamentale che questo punto ci invita a fare perché la fiducia sia reale. La sfiducia e l’ansia mentale sono caratteristiche importante del punto Sei a Livelli medi e bassi, ben mascherata dalla prudenza e dallo sforzo a prevedere i pericoli, attitudini che implicano la sfiducia nella realtà dell’esperienza. Essere presente con ciò che è qui ora senza rifiuto è fluire con la realtà, cosa ben diversa dall’essere senza rotta.
È necessario rendersi conto di essere finiti in questa trappola per poterla accogliere e per intenzionalmente permettere un movimento oltre la essa. Consapevolmente concedere all’esperienza di essere quello che è e lasciare spazio nella mente, lasciare che il dialogo interno accada senza fermare alcun pensiero.
Il punto non è credere o meno, bensì esplorare. La verità è scoperta e rivelazione costante tramite l’indagine e la ricerca libere da preconcetti e cinismo. Un vero ricercatore non accetta nulla tranne la conoscenza acquisita sperimentando. Mette in dubbio il sapere accettato e le credenze comuni con mente aperta e disponibile. Quando la mente è aperta, il dubbio svanisce e fa spazio alla fiducia senza oggetto. Senza sano dubbio non c’è sana indagine. Senza indagine non c’è esperienza. Senza esperienza non c’è reale comprensione. Senza reale comprensione non c’è verità.
Il riconoscimento della guida interiore accade quando si è completamente dentro un’esperienza fisica, emotiva e mentale e il dialogo interiore rallenta fino a sparire per un attimo, lasciando silenzio, spazio all’intuizione.
Quando la sicurezza è basata sull’attivazione mentale, il silenzio interiore è vissuto come minaccioso. Quando si è identificati con la tensione e l’allerta, lo spazio interiore fa paura, appare come un vuoto in cui perdersi. Avere il coraggio di rimanere presenti e dissolversi in questa paura conduce al riconoscimento della parte di sé che vuole sentirsi a casa e a riposo nel proprio Essere e a ritrovare l’unico vero senso di profonda sicurezza interiore che ci rende intrepidi.
Quando iniziamo a svegliarci iniziamo anche a essere davvero stanchi di pensare solo a ciò che potrebbe andare storto e di difendere le nostre posizioni, vogliamo onorare la bellezza di tutto ciò che siamo e di chi siamo, l’umanità, l’intimità, la fiducia. Vogliamo coinvolgerci e impegnarci con ciò che sta davvero accadendo dentro di noi, fidarci che se siamo davvero presenti a noi stessi, testa, cuore e corpo, non abbiamo bisogno di preoccuparci e di rimanere in allerta. Ci rendiamo conto che essere preoccupati e tesi non significa necessariamente fare un buon lavoro e che forse nel rilassamento il lavoro viene meglio. Che la fiducia in noi stessi non è una credenza o una convinzione, bensì un’esperienza diretta della solidità, affidabilità e indistruttibilità dell’Essere. È la fiducia fondamentale nella vita, nel fatto che quando siamo presenti nel momento, il momento successivo si prenderà cura di se stesso e l’ansia può persino diventare un’alleata, uno sprone. È il riconoscimento della benevolenza dell’Essere, il sentirsi inclusi in tutto ciò che è buono e amorevole.
Il mio augurio è che questi mesi autunnali siano dedicati a sostenere l’essere fedeli a se stessi, l’essere presenti a se stessi per mantenersi interiormente saldi, determinati e incrollabili agli attacchi destabilizzanti degli accadimenti sul cammino.
Maura Amelia Bonanno