Se sono un Tipo Uno la mia attenzione è pressoché costantemente rivolta a distinguere ciò che è giusto e sbagliato, corretto e scorretto.
Se sono un Tipo Due ai desideri e sentimenti degli altri, a quanto piaccio agli altri, a riconoscere dove ci può essere bisogno di me.
Se sono un Tipo Tre a come posso guadagnarmi il rispetto e la stima degli altri, al riconoscimento per i miei risultati
Se sono un Tipo Quattro a ciò che manca, a quanto posso esprimermi e se sarò rifiutato o inadeguato, a paragonarmi agli altri.
Se sono un Tipo Cinque alla comprensione delle cose, al raccogliere informazioni, a quanto del mio tempo, energia e risorse mi saranno richiesti dall’esterno.
Se sono un Tipo Sei è pressoché costantemente rivolta a riconoscere che cosa può andare storto, di chi mi posso fidare e se sto prendendo la decisione migliore.
Se sono un Tipo Sette al piacere, a individuare ciò che mi limita, a future e idealistiche eccitanti possibilità, a come evitare dolore proprio e altrui.
Se sono un Tipo Otto ad assicurarmi che è tutto sotto controllo e che procede attivamente in modo giusto ed efficace, a non essere gestito dagli altri
Se sono un Tipo Nove a verificare se sono tutti ascoltati incluso me, ai programmi degli altri e all’ambiente esteriore.
Il paradosso è che ciò cui dò ossessivamente automaticamente attenzione, come unica possibilità, provoca nei fatti un comportamento che tende a ottenere proprio l’opposto di ciò che desidero e che è profondamente importante per me.
Da Nove desidero essere riconosciuto e preso seriamente, ma sono così calmo e assecondo così tanto ciò che gli altri vogliono che finisco per sentirmi non ascoltato e davvero non importante.
Da Otto desidero essere accettato anche nelle mie debolezze, ma siccome agisco in modo forte e indipendente e mi prendo le responsabilità, raramente le persone si accorgono che ho bisogno del loro sostegno.
Da Sette voglio sentirmi a posto e piacevole, ma siccome evito le sensazioni dolorose creo costantemente molteplici possibilità e complico le situazioni, e alla fine non mi sento ne sereno, ne soddisfatto.
Da Sei voglio fidarmi davvero di me stesso e degli altri ma siccome sono molto sospettoso e proietto le mie preoccupazioni e sentimenti sugli altri, li avvicino e li allontano al contempo e finisco per causare la loro sfiducia.
Da Cinque voglio essere veramente connesso con gli altri e vivere pienamente la vita, ma la paura mi fa ritirare emotivamente e arretrare nell’intelletto, in uno spazio di nulla interiore paralizzante.
Da Quattro cerco relazioni durature con le persone, ma impiego il mio tempo mantenendomi ai margini o avvicinando e allontanando gli altri, causando senso di fastidio e rifiuto nelle persone.
Da Tre voglio davvero essere valorizzato per chi sono, ma spendo le mie energie nel fare coatto per raggiungere risultati e nel creare un’immagine con cui le persone possono relazionarsi.
Da Due voglio che sia data attenzione ai miei bisogni di apprezzamento e di sostegno, ma dedico talmente le mie energie al soddisfacimento dei desideri degli altri da non sapere quali siano i miei.
Da Uno desidero essere accettato e amato incondizionatamente, ma siccome credo che nessuno possa veramente valorizzarmi critico molto me stesso e gli altri e finisco per allontanare le persone.
Qualsiasi impegno direzionato verso la libertà dagli schemi interiori automatici include momenti di grande dolore per la sofferenza che causiamo a noi stessi e agli altri. Prevede momenti di chiarezza in cui sentiamo e riconosciamo quanto noi stessi stiamo causando separazioni, difficoltà e complicazioni.
Riconoscere chiaramente la verità è parte del viaggio di risveglio. Per questo la presenza è importante, perché senza presenza nulla è reale, è immaginazione, convinzione, apprendimento, pensiero non mio e sentire reattivo, dogma e preghiere senza vita. La presenza si pratica con l’interesse e l’attenzione a ciò che è qui e ora: ci perdiamo la maggior parte della nostra vita perché siamo ovunque tranne che dove siamo.
Circa l’“essere presenti” concordo con l’affermazione di Bennet, allievo di P.D.Ouspensky: “Io sono presente nella misura in cui faccio esperienza della presenza delle possibilità.” In altre parole, essere consapevoli e presenti è avere possibilità. Bennet spiegava che non appena le possibilità si riducono, la consapevolezza si riduce con esse e che quando le possibilità si aprono nuovamente, la consapevolezza riappare. Essere in presenza di possibilità accade quando so che il mio schema di attenzione è un automatico voltare la testa sempre da un lato e mai dall’altro, quando sono consapevole che qualcosa mi tira da questa parte e qualcos’altro mi tira dall’altra. Se non sono consapevole di questo, quello che accadrà non avrà nulla a che fare con me e sarà un automatismo che ha solo a che fare con il lavoro delle mie funzioni.
Questo un estratto da una conferenza tenuta da J.G. Bennet che ritengo illuminante:
“Esistono due mondi. Uno è il mondo dei fatti e l’altro il mondo delle possibilità. Nel mondo dei fatti, non ci sono le possibilità; nel mondo delle possibilità, non ci sono fatti. E’ molto difficile comprendere la verità che le possibilità esistono indipendentemente dai fatti e che possono anche avere potere sui fatti. La scienza, per esempio, pensa di occuparsi solo dello studio dei fatti, ma in realtà non può allontanarsi dalle possibilità. In una della più straordinarie branche della scienza nella quale sono state fatte grandi scoperte durante lo scorso secolo, cioè l’embriologia, tutto indica la presenza di un invisibile fattore che determina il modo in cui una pianta o un animale si forma dal seme. Questo è lo schema delle sue possibilità, e questo schema è sempre presente. Il suo effetto può essere studiato concretamente e con molta precisione nello sviluppo dell’embrione. È solo attraverso questo schema che dei tessuti danneggiati o addirittura interi organi possono essere rigenerati. È questo schema che mantiene ogni pianta o animale all’interno della cornice della sua specie. Se proviamo a pensare a questo schema in termini di ‘fatti’ ci perdiamo, ma ci perdiamo ugualmente se lo pensiamo come qualcosa di immateriale, una mera ‘tendenza’, oppure, come alcuni lo chiamerebbero, una forza vitale o spirituale. Lo schema delle possibilità è concreto quanto quello del corpo, ma è costituito, come ho detto la scorsa settimana, di energia potenziale invece che di energia in forma visibile. Ecco perché quando parlo di due mondi, parlo di due modi di esistenza concreti e reali, molto diversi tra loro, ma ciascuno ugualmente necessario ai fini della nostra comprensione. Tra i due c’è un confine, una frontiera, ed è aldilà di questa frontiera che può aver luogo uno scambio ed è proprio oltre questa frontiera che ‘sì’ e ‘no’ possono significare veramente qualcosa.” (Copyright: The Estate of JB and Elizabeth Bennett)
In quest’ottica il cambiamento interiore non è un’azione volontaria bensì la manifestazione delle possibilità.
Maura Amelia Bonanno