Nella newsletter dello scorso mese ho accennato, con la promessa di tornare sull’argomento, che da quando ho iniziato a dedicarmi in particolare ai Centri di Intelligenza e alle Varianti istintive, riconosco che i tre punti sul triangolo – 3, 6, 9 -descrivono i modi specifici con cui manipoliamo noi stessi, boicottiamo il nostro sé migliore, controlliamo gli altri e cerchiamo di raggirare le situazioni, indipendentemente dal Tipo in cui ci riconosciamo.
Nel disegno dell’Enneagramma tradizionalmente il triangolo interno e i tre punti shock – 3, 6, 9 – sono invisibili, tuttavia le qualità rappresentate da questi tre punti sono le più importanti di tutte. Personalmente vedo il triangolo interno come un tripode, una sorta di treppiedi che rappresenta le qualità necessarie all’esistenza tanto dell’esperienza della presenza quanto dell’addormentamento. Perché presenza sia, è necessario che tutte e tre le qualità rappresentate dal triangolo siano: non ci può essere ricordo di sé (Punto Nove) senza autenticità (Punto Tre) e senza fede (Punto Sei), così come non ci può essere fede senza entrambi ricordo di sé e autenticità e all’autenticità è necessario il ricordo di sé e la fede. Altrettanto, l’addormentamento è caratterizzato dal manifestarsi e sostenersi simultaneo di dimenticanza di sé (9), inganno (3) e miscredenza (6): quando uno dei tre elementi è intaccato, siamo già un piede sulla strada fuori dall’automatismo del sonno.
Questa struttura che a me piace rappresentare in un tripode si aggancia alla Legge del Tre e alla trialettica di Ichazo, nonché alla dottrina della trinità di Plotino in cui ogni unità mono-dimensionale alla base della realtà contiene una manifestazione dell’Unità interiore nella forma di una triade interconnessa e interdipendente. In altre parole, tutto ciò che esiste è trino. A Delfi, l’ombelico del mondo, il centro del mondo, le tre donne che svolgono contemporaneamente il ruolo di Pizia senza tripode non riescono a comunicare con gli dei e dare responsi. Senza tripode non hanno rete e perdono la connessione, usando una terminologia contemporanea. Un tripode sta in piedi anche se una gamba è più corta, ma è squilibrato e i messaggi arrivano distorti, se invece una gamba manca non è neanche più un treppiedi e stiamo parlando di altro. Invece quando il tripode è equilibrato c’è rete, la comunicazione è limpida e facciamo esperienza diretta delle qualità essenziali rappresentate dai punti sul triangolo: ricordo di sé, presenza nel corpo, stabilità, fluidità, speranza, veridicità, autenticità, fede, fiducia, coraggio, armonia interiore. Abbiamo accesso al nostro sé migliore, quello in cui riconosciamo e manifestiamo le doti e i talenti del nostro Tipo, qualsiasi esso sia.
Sia nella formazione sia nel counseling e nel coaching, uno dei primi e fondamentali momenti dell’utilizzo dell’Enneagramma è per me il riconoscimento di questi tre punti in ognuno di noi. Solo dopo possiamo addentrarci nel dettaglio del Tipo, cosa che non ha senso né utilità se prima non abbiamo riconosciuto i fondamenti del tripode in noi stessi.
L’accidia del Punto Nove è tradizionalmente la passione primaria da cui tutte le altre possono essere viste come una differenziazione. E’ la noncuranza per se stessi che Naranjo descrive come “difensiva perdita di interiorità”, rendersi insensibili alle proprie emozioni, preferenze, desideri e persino pensieri. Una fondamentale indolenza dell’anima, una pigrizia riguardo a ciò che è essenziale e a chi siamo, l’addormentamento di cui parlano tutte le tradizioni spirituali, la dimenticanza di sé nel vocabolario di Gurdijeff e per cui ognuno dei nove Tipi ha il proprio stile. E’ l’essere schiavi di se stessi, come prigionieri talmente abituati alle quattro pareti della propria cella da credere che questi muri sono i limiti dell’universo invece che tutto ciò che si riesce a vedere, al punto che descrivere un mondo oltre queste mura sembra impossibile fantasia. Il modo migliore per mantenere l’addormentamento è distrarsi e basta osservare come viviamo per vedere la costantemente smemoratezza circa ciò che è davvero importante e prioritario sia personalmente, sia socialmente. In questo territorio di oblio lo scudetto diventa più importante dei 400000 morti in Siria: senza togliere che è bello gioire e festeggiare per uno scudetto, diventa oblio di sé quando questa è la sola cosa importante della giornata o della vita. Usare i soldi guadagnati nel gratta e vinci – peraltro proposto alla stazione di servizio in autostrada che espone al contempo l’avviso di pericolosità del gioco – è più allettante che offrire un elemosina o investire in qualcosa di buono per noi, chattare prende il posto del parlare con le persone, mettere un “like” a una causa sociale su Facebook sostituisce l’effettivo l’attivarsi, il dolore fisico o emotivo non è riconosciuto oppure è sottovalutato o persino ignorato. Si rimane in una situazione malsana per abitudine invece di prendersi la responsabilità di cambiare perché quello che non si conosce può solo essere peggio e poi basta guardarsi intorno per vedere che c’è crisi. Appunto. Intorno e non dentro.
Tra le varie dimenticanze c’è anche quella che le cose non sono come appaiono, un altro dei più antichi insegnamenti spirituali, molti dei quali descrivono il mondo come illusione e ne parlano come di un regno di apparenza e bugia. Eppure tutto sembra così reale, sia quello che sentiamo dentro, sia quello che vediamo lì fuori e che pensiamo essere ciò che sta veramente accadendo. Il Punto Tre dell’Enneagramma rappresenta la passione dell’inganno e descrive il luogo interiore in cui ognuno di noi ha una fotografia ideale con cui misura se stesso, le proprie azioni e il mondo, diversa per ognuno dei nove Tipi. Tutti mentiamo riguardo alla nostra realtà e in modi accettati dal mondo convenzionale. Ci sono le “piccole bugie” che raccontiamo per salvare la faccia giustificate dal presunto riguardo che abbiamo per i sentimenti di qualcuno (doppia bugia) e le grandi bugie per tiraci fuori da immaginati guai. Siamo in genere consapevoli di quando mentiamo agli altri, molto meno quando mentiamo a noi stessi. Viviamo in un mondo in cui molto chiaramente la confezione è più importante del contenuto, in cui è diventato normale distorcere e re-incorniciare la realtà per renderla più gradevole e in alcuni casi desiderabile. Le informazioni trasmesse dai media sono spesso parziali e volte a raggiungere l’effetto emotivo desiderato alla costruzione di un’opinione pubblica ben precisa. Sui social network è importante mostrare quanto meravigliosa è la nostra vita, quanto è appagante e perfetta la nostra relazione intima, quanti fantastici amici abbiamo, quanto ringiovaniamo invece di invecchiare. Il lavoro introspettivo è sostituito dal collezionare belle esperienze, la meditazione è intrattenimento, la realizzazione come insegnante è fare carriera come guru e marketing mostrando a tutti quanto si divertono i partecipanti ai corsi di crescita personale. “Occidentalis karma” è la perfetta descrizione del turismo spirituale contemporaneo in cui non si riesce più a riconoscere il vero valore, della bugia che la maggior parte di noi crede, che la nostra esteriorità e anche la forma fisica definiscano chi siamo. Non sto affermando che l’apparenza esteriore non è importante, anzi la noncuranza del proprio corpo e di ciò che si trasmette indica uno sbilanciamento, esattamente come lo fa un eccessivo investimento nella sua importanza.
Non essere all’altezza dell’immagine che ci portiamo dentro crea ansia, ed è facile intuire che al nucleo di questa ricerca di conferme esteriori c’è paura. Il Punto Sei evidenzia il terzo ingrediente fondamentale del treppiedi dell’addormentamento: l’ansia in cui viviamo finché crediamo che i nostri corpi e la forma definiscono chi e cosa siamo, finché siamo identificati con la nostra struttura della personalità. Ognuno dei nove Tipi ha la propria peculiare paura. In questo territorio interiore il mondo è un posto pericoloso e la sopravvivenza non è assicurata da alcun mezzo. Qualsiasi situazione nella nostra vita che provoca emozioni difficili da gestire o di cui non riusciamo a liberarci fa paura, e la tendenza comune è quella di trovare rifugio dall’incertezza, dall’ansia e dal dubbio guardando e cercando fuori da sé dimenticando che non potremo mai avere sufficiente sostegno esterno da farci sentire sicuri. Il fuori è minaccioso e l’informazione pubblica alimenta la paura trasmettendo quasi esclusivamente messaggi di violenza e avvisi di all’allerta per qualsiasi cosa. Allerta pioggia, allerta siccità, allerta economica, allerta immigrati, allerta attentati. E’ un’allerta generale che alimenta l’ansia costante in cui viviamo senza rendercene conto, fondamentalmente riguardo un pericolo sconosciuto o che deve ancora essere scoperto. Se abbiamo paura di qualcosa, facciamo ciò che possiamo per difenderci e così costruiamo muri, dentro e fuori. Proiettiamo fuori praticamente tutto quello che proviamo dentro, in modo particolare la nostra aggressività, investendo gli altri con la nostra disconosciuta belligeranza per poter continuare a biasimare l’altro e immaginarci buoni e pazienti. Quali emozioni e pulsioni disconosciamo dipende da quale immagine di noi stessi vogliamo difendere nel Punto Tre e da quanto distratti da noi stessi siamo nel Punto Nove.
Possiamo riconoscere che il tripode su cui sediamo è squilibrato a qualsiasi livello di consapevolezza e una breccia nell’addormentamento e nell’automatismo può accadere, intenzionalmente o per sopravvivenza. Ricordare se stessi e combattere l’addormentamento all’inizio è diventare presenti nel corpo, abitarlo. Non è tenersi impegnati in qualche attività fisica, bensì fare esperienza di sé da dentro, portare l’attenzione alla sensazione dei limiti fisici e delle parti interne. Generalmente crediamo di sperimentare il nostro corpo così come è, invece più pratichiamo il ricordo di sé in questo modo più ci rendiamo conto che lo stiamo sperimentando attraverso uno spesso velo di assunti e presupposti e più il nostro senso di cosa è ciò cui diamo attenzione cambia. Se lo contattassimo direttamente, senza le nostre idee e immagini interiori su di esso che oscurano e informano la nostra percezione, ne faremmo esperienza in modo completamente differente. E’ necessario riconoscere la misura in cui mentiamo a noi stessi a partire dal corpo e questo può accadere solo immergendoci completamente nell’esperienza somatica, emotiva e mentale sperimentando di cosa si tratta.
Quando con presenza, autenticità e coraggio penetriamo nella nostra esperienza interiore possiamo permettere al contenuto della nostra coscienza di essere riconosciuto mentre siamo presenti a esso senza prendere posizione riguardo a ciò che emerge. Quando questo accade, come la Pizia ci ritroviamo al centro, in equilibrio sul tripode, connessi, in ascolto e la visione si fa limpida.
Maura Amelia Bonanno