Durante il mese di giugno ho accettato di essere coinvolta in un’esperienza per me inusuale: una catena di Sant’Antonio che ha come contenuto la maratona di meditazione di 21 giorni sull’abbondanza di Deepak Chopra, guru della meditazione trascendentale. È stata al contempo una sfida e una delizia.
La sfida è stata pormi con un attitudine di apertura e interesse verso una proposta per cui avevo pregiudizi, ideata da un autore di cui apprezzavo solo la preziosa capacità comunicativa che gli permette di saper raggiungere chiunque. La delizia è stata la condivisione con un gruppo di luminosi individui con interessi ed esperienze estremamente eterogenei composto sia da meditatori esperti sia neofiti, il pormi domande tanto semplici quanto trascurate e importanti, il ricordare che tutto ciò che è dedicato alla conoscenza di se a qualsiasi livello è un dono per la vita.
Naturalmente queste proposte nascono per servire a scopi genuinamente edificanti. Invitano, anche chi non lo ha mai fatto prima, a staccare dal vortice dell’iper-stimolazione ed essere presenti a se stessi per un certo tempo ogni giorno, insieme. Sicuramente aiutano a desiderare la liberazione interiore e questo è bene, ma credo che raramente possano davvero farlo.
Quando sono portate troppo lontano, come è accaduto nel corso degli anni con il movimento New Age, diventano in realtà una prigione, una gabbia che rinchiude l’umanità con il suo dolore e i suoi schemi non elaborati, sostituendo il vero lavoro con voli di fantasia che creano dipendenza.
Il movimento New Age sostiene l’illusione di poter alleviare le proprie sofferenze, e forse per un breve periodo di tempo effettivamente funziona, ma invariabilmente i problemi tornano e si finisce per sentirsi ancora meno pronti ad affrontare la realtà di quanto si fosse prima.
È caratterizzato da elementi molto precisi, tra cui la recitazione di mantra di pio desiderio, pratiche di perdono prematuro, tecniche di guarigione superficiali, negazione perpetua del buon senso e della realtà e insistenza su prospettive fantastiche come per esempio “Tutto è un’illusione”, “È tutto perfetto”, “Non ci sono vittime”, “Tutto ciò che accade è destinato a essere”, “Tutti i giudizi sono negativi”, ”La sofferenza non esiste”, “Sei responsabile di tutto ciò che ti accade”, “Chiedi all’universo quello che vuoi e lo otterrai”, “Tutto ciò che vedi e senti è un riflesso di te”, “Cambia il tuo modo di pensare, cambia la tua vita” e cose così.
Questi sono assunti semplicistici e prospettive limitanti della realtà che possono pericolosamente sfociare nell’aggiramento spirituale. Esserne sedotti limita la capacità di essere presenti a se stessi e all’esperienza del momento e quindi il processo di risveglio.
Questo orientamento, che è definito spirituale, è tendenzialmente promosso da guru che non sono solidamente fondati su alcuna tradizione, anzi che spesso pescano precetti da diversi insegnamenti e propongono un sincretismo che oltre a creare confusione può essere molto manipolatorio.
Avete notato quanti guru in più sono emersi da marzo 2020?
Un elemento importante di queste convinzioni è la soddisfazione del bisogno di negare la veridicità dell’esperienza, in particolare per quanto riguarda esperienze dolorose e traumatiche. Sono formule dissociative, che confondono l’evitare di affrontare i problemi con la soluzione e anche l’elusione del trauma con una vera guarigione.
Il dolore irrisolto e il falso perdono sono pericolosi e hanno un impatto deleterio e talvolta disastroso sia sulla propria vita interiore sia sulle relazioni con gli altri. Nella nostra cultura abbiamo l’ossessione per il perdono. Questo non vuol dire che il perdono non sia una buona cosa quando è genuino, tuttavia, che si tratti di ambienti religiosi o spirituali, attualmente il rischio del perdono artificiale e prematuro è enorme.
Negli ambienti spirituali New Age c’è anche il chiodo fisso del “lasciar andare”. Ho già scritto una newsletter dedicata proprio a questo qualche anno fa. “Lascia andare” è il mantra di chi evita se stesso, fingendo risoluzione perché manca del coraggio o della preparazione per affrontare i propri sentimenti. Nella mia esperienza, quando ho giocato a questo gioco, quando ho negato il mio vergognoso bisogno di aggrapparmi all’esperienza da cui tentavo di liberarmi, essa è sempre riapparsa nella mia vita in modo ancora più violento e talvota distruttivo. Nel terreno della trasformazione, invece di lasciar andare si lascia entrare in profondità, ci si lascia attraversare, si offre attenzione e cura alle proprie esperienze e ai propri sentimenti finché sono pronti a cambiare. Questo potrebbe richiedere un giorno o anni. Significa vivere pienamente, non “lasciar andare” prima del tempo, specialmente il bisogno di aggrapparsi a ciò che è irrisolto, che spesso fa vergognare di se stessi per “essere ancora lì”.
Non si può affrettare il perdono, non si può spingere la liberazione interiore, non si può sollecitare la guarigione di un trauma, non si può accelerare la trasformazione della coscienza, non si può lasciar andare proprio nulla.
Il risveglio, la guarigione, la trasformazione della coscienza, non sono processi a breve termine, bensì a lungo termine. Nessun tipo di crescita accade con la fretta. Spesso – sia riguardo a se stessi sia riguardo agli altri – si dimentica che la vera trasformazione richiede tempo reale.
Troppo spesso si vuole affrettare un processo di liberazione interiore, come se solo la volontà individuale potesse attuarlo. Più si è ansiosi e più si ha fretta di vedere le cose cambiare e crescere, più si versa benzina sulla frustrazione, sulla vergogna e sulla rabbia.
A seconda della natura dello schema interiore e del contesto, può volerci una vita per raggiungere un luogo in cui si è in pace con ciò che si è vissuto. Specificatamente la maturazione emotiva è un viaggio lungo molti anni perché le fasi di sviluppo funzionano come le strutture biologiche. Per passare da uno stadio di maturazione a un altro, è necessario attraversare un’ampia gamma di esperienze e integrarne il significato. Si tratta di diventare un essere veramente diverso su molti livelli e piani di realtà interconnessi.
Viviamo in una società che non considera e tantomeno rispetta il ritmo umano del divenire, il tempo e la velocità richiesti da una trasformazione profonda e duratura. Quindi spesso si finisce per rimanere fermi da qualche parte durante il percorso, desiderosi di liberazione, senza lo spazio e il ritmo che la rendono possibile.
Le pratiche di movimento somatico mi hanno insegnato che il sistema nervoso ha una mente propria con cui non si può ragionare. Ma lo si può ascoltare attentamente quando ci informa circa i bisogni per autoregolarsi. Si può imparare a comprendere e onorare le sue richieste. Ed è lì che avviene la trasformazione. Nell’ascolto.
Il cambiamento sostenibile la trasformazione duraturi, si basano sulla persistenza e la pazienza. Perché non si tratta solo di conoscere se stessi, comprendere delle esperienze, guarire delle ferite. Si tratta anche di recuperare aspetti di sé che si sono stati trascurati tutta la vita, di integrare nuove parti, di maturare nei luoghi che gli schemi mentali, emotivi e le tensioni fisiche hanno ostruito. Si tratta di sviluppare la versione più vera possibile di se stessi, dopo anni sepolti sotto il peso dell’adattamento e della recita di un ruolo in cui si è identificati. Si tratta di essere in connessione con se stessi, dopo anni di fuga. Il risveglio, la guarigione, la trasformazione della coscienza, impegnano tutta la vita.
Nel percorso dei 21 giorni sull’abbondanza di Chopra, i temi su cui meditare sono universali, la loro evocazione con i mantra tocca tutti: l’amore, l’armonia, il valore, la consapevolezza, la fiducia, la vitalità, l’identità, la gioia, la libertà, l’equilibrio, la connessione.
Tornando a ciò che ho scritto all’apertura della newsletter, è un gran bene che queste proposte invitino, anche chi non lo ha mai fatto prima, a staccare dal vortice dell’iper-stimolazione ed essere presenti a se stessi per un certo tempo ogni giorno, in modo corale assieme ad altri e seguendo indicazioni precise. Ed è bene che aiutino a ricordare il desiderio di liberazione interiore.
Ma credo che raramente possano davvero farlo.
Tutti, non solo chi si riconosce nel tipo Nove, desideriamo armonia nella nostra vita e sentirci Uno con il creato, ma per accedere all’esperienza diretta e reale di queste qualità non basta evocarle, è necessario passare attraverso il riconoscere la propria passività, l’accogliere l’intensità.
Tutti, non solo chi si riconosce nel tipo Otto, desideriamo sentirci vitali ed emancipati, ma per accedere all’esperienza diretta e reale di queste qualità non basta evocarle, è necessario passare attraverso il riconoscere la propria impotenza, l’abbracciare i propri bisogni emotivi.
Tutti, non solo chi si riconosce nel tipo Uno desideriamo integrità e sentirci equilibrati, ma per accedere all’esperienza diretta e reale di queste qualità non basta evocarle, è necessario passare attraverso il riconoscere la propria irrazionalità, l’abbracciare il caos interiore.
Tutti, non solo chi si riconosce nel tipo Tre, desideriamo sentire e manifestare il nostro valore e realizzarci, ma per accedere all’esperienza diretta e reale di queste qualità non basta evocarle, è necessario passare attraverso il riconoscere l’essere persi nel fare, il permettersi di ‘essere’.
Tutti, non solo chi si riconosce nel tipo Due, desideriamo dolcezza e relazioni amorevoli, ma per accedere all’esperienza diretta e reale di queste qualità non basta evocarle, è necessario passare attraverso il riconoscere che blocchiamo l’amore, l’accogliere la propria umanità.
Tutti, non solo chi si riconosce nel tipo Quattro, desideriamo essere ed esprimere chi siamo veramente, ma per accedere all’esperienza diretta e reale di queste qualità non basta evocarle, è necessario passare attraverso il riconoscere la propria identità immaginaria, l’accogliere ciò che emerge com’è.
Tutti, non solo chi si riconosce nel tipo Sei, desideriamo sentirci sostenuti e avere fiducia in noi stessi e nella vita, ma per accedere all’esperienza diretta e reale di queste qualità non basta evocarle, è necessario passare attraverso il riconoscere l’allerta interiore, l’abbracciare il silenzio interiore.
Tutti, non solo chi si riconosce nel tipo Cinque, desideriamo chiarezza e comprensione dell’essenza della vita, ma per accedere all’esperienza diretta e reale di queste qualità non basta evocarle, è necessario passare attraverso il riconoscere che tagliamo il contatto con la realtà, il farsi toccare profondamente dalle situazioni.
Tutti, non solo chi si riconosce nel tipo Sette, desideriamo libertà e sentirci gioiosi, ma per accedere all’esperienza diretta e reale di queste qualità non basta evocarle, è necessario passare attraverso il riconoscere l’inquietudine interiore, l’abbracciare l’insoddisfazione e il dolore.
Ripetere a noi stessi che siamo in pace, che siamo forti, che siamo giusti, che siamo vincenti, che siamo speciali, che siamo responsabili, che siamo perspicaci, che siamo a posto così, può essere utile a ricordarci la nostra vera natura e accendere il desiderio di connetterci con quella parte di noi, con quell’esperienza. Può anche essere utile a evitare di prenderci la responsabilità degli schemi mentali, emotivi e delle tensioni interiori che inconsapevolmente alimentiamo e che ci separano da quell’esperienza. Può essere utile a illuderci che ripetere il mantra possa magicamente cancellare il dolore che la separazione interiore provoca. Può anche essere utile a fare luce sugli schemi limitanti e separanti in modo da poterci lavorare perché possano trasformarsi.
Da questa prospettiva, sono grata di avere partecipato con totalità all’esperienza dei 21 giorni e di avere coinvolto altri.
Sono certa che la nostra ricerca di riconnetterci con ciò che ci è più caro, e quindi anche allo scopo di questa vita, sia indistinguibile dalla nostra capacità di coltivare presenza come esperienza del nostro intero essere. Più totalmente siamo qui, più profondamente siamo disponibili a chiarire e manifestare le nostre ragioni d’essere. Al contempo, più profondamente possiamo incarnare il nostro scopo, più accesso abbiamo al momento stesso.
Che l’estate sia abbondante di momenti in cui rallentare e invitare il processo a trasformare in modo significativo la nostra coscienza.
Maura Amelia Bonanno