Nell’ultimo mese sono stata impegnata a rileggere e correggere il testo del libro “Crescere con l’Enneagramma” per una prossima ristampa. Chi mi conosce sa che accettare l’invito della casa editrice a scrivere circa un argomento così vasto in sole 200 pagine è stata un’esperienza ricca di prove da superare, tanto quanto ricchi di sfide sono stati gli anni successivi relativamente a questa pubblicazione. Averlo ripreso in mano dopo 5 anni, muove in me sensazioni, emozioni e pensieri contrastanti. Una parte di me è grata perché la sua elaborazione mi aveva permesso di scoprire un senso logico sia nel mio percorso con l’Enneagramma, sia nelle ricerche e proposte dei diversi insegnanti e autori con cui ho avuto l’onore di formarmi. Sono ancora grata di avere avuto occasione di offrire loro riconoscimento in Italia, dove le loro opere sono abbondantemente plagiate e manipolate. Mi sento onorata e responsabile perché forse può avere ispirato chi lo legge a smettere di usare l’Enneagramma per incasellare gli individui e fare diagnosi. Comunque mentre lo rileggevo e correggevo mi rendevo conto che oggi scriverei altro e diversamente, e che sarebbe molto difficile rimanere nelle regole della casa editrice.
Oggi sta emergendo il bisogno di attraversare un’esperienza simile nell’ambito dell’integrazione Enneagramma / somatica / antropologia. Si aggiunge che il mio lavoro come l’ho fatto fino al periodo pandemico è parte del passato mentre una nuova inevitabile direzione ancora non è chiara. Credo che molti di noi in questi ultimi anni hanno avuto l’impellente spinta a trasformare qualcosa nella propria vita. Mettere nero su bianco questo momento che sto vivendo è molto utile per sentirmi connessa con chi risuona con questa esperienza che forse non è solo mia.
Non è chiaro dentro di me se il bisogno non è maturo o se sto tergiversando. Non è chiaro dove sono a riguardo. Da una parte desidero onorare e rispettare il lavoro che ho svolto fino a oggi in questa integrazione senza dover necessariamente passare un altro varco, e dall’altra c’è una spinta in avanti a un cambiamento che tuttavia oggi non ha sostegno interiore.
La mia testa cerca chiarezza, ma sappiamo che l’energia delle emozioni è più veloce di quella del pensiero, quindi per quanto il pensiero lineare cerchi di trovare un verso e una direzione, non ce la può fare. O meglio, l’unica via che può trovare è nel limitato e prevedibile archivio di percezioni e schemi della macchina che chiamiamo tipo dell’Enneagramma.
Trovo soccorso quando mi ricordo di spostare l’attenzione dai pensieri e dalle emozioni al corpo. Ho la fortuna di potermi rivolgere alle pratiche di meditazione e al movimento somatico. Trovo una via nel ricordare che nel corpo posso incontrare il ritmo naturale per vivere e sostenere le transizioni. In questi momenti, spesso la prima cosa che incontro sono stanchezza e dolori fisici. In me riecheggiano le parole con cui monsieur Gurdjieff ci ha insegnato che le tensioni nel corpo sono l’ostacolo allo scorrere di quella forza che ci vivifica e ci connette con la dimensione del nostro essere più sottile e vero.
Ultimamente in quelle tensioni scopro che mentalmente ed emotivamente sono piena di aspettative di come la mia vita professionale dovrebbe proseguire, di come dovrei essere per rispettare il modo in cui credo di dover essere per essere “me”. Un tripudio di identificazioni così prevedibili da averne a noia.
Talvolta questa esperienza di polarità interiore è percepita come conflitto e mi tenta una reazione di rabbia, talvolta di vittimismo, altre di fuga. Nella riunione di condomino che intanto rischia di accendersi ai piani alti c’è chi vuole imporre la prossima mossa di sedersi e impegnarsi a scrivere, chi non perde occasione per giudicare la reattività, chi la giustifica e la vuole autorizzare, chi manderebbe tutti a spigolare e si trasferirebbe a ricominciare una nuova vita nell’altro emisfero, chi non trova alcun motivo per scrivere visto che oramai anche chi non ha nulla da dire è impegnato nella coatta produzione di contenuti copia e incolla di cui non si sente per nulla bisogno.
Succede che ricordo di essere già passata da qui, di avere già avuto questa paura di perdermi centinaia di volte. Decido di rimanere attenta solo al respiro e al cedere alla gravità mentre tutto questo accade dentro di me, continuo a sentire sostegno nel corpo e lascio atterrare nella terra anche l’aspettativa che a questo punto debba succedere qualcosa, che arrivi una risposta circa la direzione da prendere.
Ricordo che l’energia può scorrere fluidamente solo in un corpo spazioso. È l’unico luogo in cui si può sentire la vita, la nascita e la morte che danzano insieme, le polarità che generano. Non si può sentire l’energia della vita nel centro della testa, sicuramente non nel pensiero lineare che è pura macchina, e neppure nei momenti di grazia in cui l’intelletto superiore si manifesta nella nostra esperienza perché lì non c’è il movimento dello spazio ordinario, c’è vacuità. Non si può sentire l’energia della vita nel centro del cuore, sicuramente non nelle emozioni negative che monsieur Gurdjieff ci insegna sono in realtà pensieri meccanici, e neppure nei momenti di grazia in cui l’emotivo superiore si manifesta nella nostra esperienza perché lì non c’è il movimento del tempo ordinario, c’è un “io” eterno.
Ma nel corpo si. Nel corpo c’è tutto. Ci sono tempo e spazio, sempre disponibili a essere vivificati quando ci ricordiamo di fermarci e smettere di stivare ogni secondo e ogni millimetro con i contenuti della macchina. Quando riprendo contatto con la gravità e il respiro interiore riconosco nel corpo gli schemi interiori meccanici del mio tipo che vogliono solo saturare e imporre e permetto l’apparire di un luogo fisico interiore spazioso e libero in cui qualcosa che macchina non è può emergere.
La macchina del nostro tipo non è fatta per rivelarci i nostri veri bisogni, per perseverare in ciò che nutre il nostro essere. La macchina del nostro tipo è costruita per portare a termine un determinato compito, programmata per svolgere una serie di attività reattive nel modo più efficiente possibile per continuare a rimanere in attività e a occupare la nostra attenzione. La macchina del nostro tipo non ama ma calcola, non agisce ma esegue, non ragiona ma ripete a memoria. Riconoscere come funziona la macchina è fondamentale. Per questo studiamo l’Enneagramma e Lavoriamo con esso. Ma perché si possa parlare di reale comprensione e consapevolezza è importante che ci sia anche la direzione di contatto con lo spazio in cui l’energia vitale può scorrere, è fondamentale che l’impegno sia in entrambe le direzioni.
Ma come facciamo a riconoscere la macchina? Come può una macchina vedere se stessa? Non può. Ma la coscienza di cui siamo fatti si. E nella mia esperienza è possibile intercettare quella coscienza proprio nello spazio nel corpo. Citando P.D. Ouspensky “L’essere umano è una macchina che, nelle giuste circostanze e con il giusto trattamento, può sapere di essere una macchina, e avendo realizzato questo pienamente potrebbe trovare il modo di cessare di essere una macchina.”
Continuo a sentire il richiamo di un passo nuovo e continuo a essere convinta che ci sono già troppi produttori di inutili contenuti e che in questa epoca come non mai c’è bisogno di riaprire i libri antichi e non di scriverne altri. In questa polarità può sorgere un luogo vacuo e lì stò, per ora.
Maura Amelia Bonanno