Come l’Antropologia culturale, la mappa dell’Enneagramma appartiene al campo della scienza dell’uomo. La consapevolezza o la negligenza e caratteristiche fondamentali del ragionamento antropologico influenzano il modo in cui utilizziamo la mappa dell’Enneagramma e l’impatto che questa ha sulle persone, sull’ambiente e sulla società. L’approccio e i principi dell’antropologia culturale sono un grande sostegno per l’uso adeguato ed etico della nostra mappa.
Ho scelto questa presentazione alla Conferenza Regionale del Cairo la scorsa settimana perché ho una formazione in Antropologia culturale e una ricca formazione ed esperienza in campo somatico che sostiene sia la comprensione antropologica, sia quella dell’Enneagramma. Desidero qui condividere con voi il riassunto del contenuto della presentazione, augurandomi sia di vostro interesse.
Antropologia significa “studio dell’umanità”. L’antropologia culturale specificatamente riguarda la comprensione della varia, affascinante, problematica, complessa e spesso misteriosa multidimensionale natura della vita umana. Tratta dell’affrontare l’incontro con esseri umani con abitudini e concezioni del mondo diverse dalle nostre. Si occupa della scoperta di somiglianze e differenze tra i vari modi in cui i diversi gruppi umani affrontano, interpretano, conoscono, immaginano, trasformano, reagiscono, si adattano al mondo che li circonda. Il compito dell’antropologia culturale è tradurre e costruire un ponte tra di loro. Vuole farci cogliere l’unità sotto l’apparente diversità dei comportamenti e delle idee di certi popoli e anche le profonde differenze che esistono sotto la superficie di un’apparente somiglianza.
Interpreta interpretazioni coniugando le conoscenze teoriche della disciplina con l’esperienza personale di osservazione, riflessione e ricerca e si interroga sul rapporto tra natura e cultura.
La mappa dell’Enneagramma è perfettamente inserita in queste tematiche e illumina gli stessi interrogativi e scopi.
Sebbene le origini dell’antropologia si possano far risalire al viaggiatore e scrittore greco Erodoto (VI secolo aC), le sue radici più immediatamente riconoscibili risalgono all’umanesimo europeo e alla scoperta del Nuovo Mondo nel XV secolo. Nella prima metà del Cinquecento, con l’espansione coloniale, i traffici commerciali, le conquiste e le opere missionarie, i contatti degli europei con gli altri popoli si intensificarono rapidamente. Ciò ha dato origine a seri problemi religiosi, scientifici e morali. Nelle corti, nei tribunali, nei seminari e nelle università europee ci si chiedeva se creature così diverse fossero esseri umani, se fosse un dovere convertirli alla vera fede con la parola o con la forza, se avessero un’anima. Alla fine del Settecento si riteneva che lo studio dell’uomo potesse essere utile per costruire una società migliore, nella seconda metà dell’Ottocento l’antropologia era considerata uno strumento per eliminare pregiudizi, superstizione e ignoranza e per conoscere meglio i popoli delle colonie, fondamentalmente per controllarli meglio, finché nell’ultimo quarto dell’Ottocento furono istituiti primi insegnamenti di antropologia nelle università europee e americane.
Il titolo della Conferenza era “Come sin alto così in basso”.
Significa “Ciò che è in alto è simile a ciò che è in basso, e ciò che è in basso è simile a ciò che è in alto”. È una parafrasi moderna popolare del secondo verso della Tavola di Smeraldo, un testo ermetico compatto e criptico attestato per la prima volta in una divulgata traduzione latina medievale di una fonte araba della fine dell’VIII o dell’inizio del IX secolo. L’originale arabo era diverso e recitava: “Ciò che è in alto è da ciò che è in basso, e ciò che è in basso è da ciò che è in alto”. Non “come”, bensì “da”.
L’esperienza somatica insegna che dal mitocondrio di un essere monocellulare fino al grande universo conosciuto c’è un modello di movimento perpetuo di espansione e condensazione. Accade in ogni cellula, tessuto, organo, sistema, corpo, esperienza emotiva, flusso di pensieri, dinamica di relazione e di gruppo, modello culturale, di governo, nei processi. Anche la storia e l’evoluzione hanno questo schema e il modello delle Dinamiche a Spirale per esempio sistematizza bene questo ritmo.
In questo movimento continuo, condensazione ed espansione avvengono simultaneamente. Significa che all’interno della fase di condensazione c’è già il seme e l’inizio dell’espansione e nella fase di espansione c’è già il seme e l’inizio della condensazione. L’interpretazione del ritmo di condensazione ed espansione come contrazione e chiusura o dispersione e apertura, o come momenti e fasi separati e sconnessi sono giudizi prodotti della percezione umana – individuale e culturale – che non ha riscontro nella realtà naturale in cui l’esperienza è pura esperienza.
“Ciò che è in alto è da ciò che è in basso, e ciò che è in basso è da ciò che è in alto” significa che ogni movimento in qualsiasi dimensione dell’esistente è influenzato e influenza tutte le altre. In pratica tutti gli individui coscienti hanno una responsabilità non solo su ciò che fanno, ma anche su come lo fanno. Significa che in questi processi planetari che in una direzione stanno riducendo la varietà dell’esperienza culturale umana a vantaggio di modelli uniformi, è importante mantenere anche la direzione in cui essere determinati nell’individualità, avere confini sani e nutrire legami profondi con gli altri.
L’uomo nasce nudo. Per la sopravvivenza, gli esseri umani dipendono molto meno dai geni che dalla cultura, contrariamente agli animali che hanno inscritto nel codice genetico le informazioni che consentono loro di procurarsi il cibo, trovare riparo o costruirlo, percorrere migliaia di chilometri ogni anno per riprodursi sempre negli stessi luoghi, riconoscere con chi riprodursi, captare il pericolo.
L’uomo è l’unico animale che fin dalla nascita ha bisogno delle cure, delle attenzioni e dell’assistenza dei suoi simili per lungo tempo: lo sviluppo delle connessioni neurali nel cervello umano si verifica in gran parte dopo la nascita, in una proporzione di circa il 70%. Il nostro codice genetico ci predispone a compiere una serie di operazioni infinitamente più complesse di quelle eseguibili da qualsiasi altro animale, ma non indica quali operazioni dobbiamo eseguire e come.
E qui interviene la cultura. Una cultura è l’insieme complesso di idee, abitudini, comportamenti e simboli condivisi da un certo numero di individui. Negli esseri umani i modelli mentali, emotivi e comportamentali funzionano allo stesso modo delle informazioni genetiche negli animali. Tra l’impulso a soddisfare un istinto primario – come nutrirsi, riprodursi o riposare – e la sua soddisfazione, l’essere umano pone la cultura. E, aggiungiamo noi, il tipo. Per vivere con i propri simili e sopravvivere, gli esseri umani devono adottare codici di comportamento pratici, emotivi e mentali che siano riconoscibili e condivisi. Ciò che non è riconoscibile da un codice culturale viene ignorato o frainteso.
I modelli culturali possono quindi essere considerati paradigmi, proprio come le 27 Varianti istintive descritte dall’Enneagramma possono essere considerate paradigmi.
Così come per i tipi, il confine di una cultura è strettamente connesso con quello dell’identità. Le culture cambiano continuamente e non hanno confini chiari, precisi, individuabili, bensì hanno nuclei forti che le distinguono e allo stesso tempo le assimilano alle altre.
Come tutte le specie animali e vegetali che vivono nel mondo fisico, percepiamo l’alternanza di fenomeni come il giorno e la notte, l’estate e l’inverno, il sonno e la veglia e organizziamo la nostra esperienza in schemi. Noi esseri umani abbiamo anche la percezione della trasformazione delle cose e della loro finitezza e attraverso il corpo sperimentiamo il diverso posizionamento i noi stessi e delle cose.
La trasformazione delle cose e di se stessi è vissuta dall’uomo nella forma di ciò che chiamiamo tempo. In riferimento invece alla posizione del proprio corpo e delle cose rispetto ad altri corpi e altre cose, gli esseri umani percepiscono ciò che chiamiamo spazio. Noi umani non possiamo pensare a nulla che sia fuori dal tempo e dallo spazio. Cultura e tipo ci direzionano verso una preferenza per un tempo quantitativo oppure qualitativo, verso una diversa definizione di spazio sicuro oppure minaccioso.
I sensi ci offrono l’esperienza, le percezioni definiscono l’interpretazione e l’organizzazione di tale esperienza. A informare l’elaborazione dell’esperienza e orientare la nostra percezione sono cultura, tipo e consapevolezza.
Perché possiamo considerare in modo adeguato questi aspetti, che sono solo alcuni dell’ambito delle scienze umane, quando vogliamo utilizzare la mappa dell’Enneagramma i principi fondamentali dell’Antropologia culturale sono a nostro sostegno. Ne tratto qui alcuni.
L’olismo ci evidenzia che così come una rete non può essere percepita osservando una singola maglia, una mappa non può essere percepita osservando solo una strada o un segnale. La cultura e il tipo sono entità olistiche, complesse e integrate, costituite da elementi che sono in un rapporto di reciproca interdipendenza. Occorre tener conto dei vari elementi di una cultura così come di un tipo per poter comprendere tutti gli altri. Partiamo da un’osservazione particolare per raggiungere una comprensione globale in cui ogni dettaglio è definito e connesso a significati globali.
Se si adotta una prospettiva olistica, il ricercatore è obbligato a considerare ogni aspetto della cultura – o del tipo – in relazione ad altri aspetti di essa e di esso, cioè a definire il contesto in cui si collocano i fenomeni che prende in considerazione.
Il rispetto sia del punto di vista etico, quello dell’osservatore esterno, sia di quello emico della prospettiva interna di chi compie gesti e azioni per abitudine e conformismo. Si chiama relativismo, un atteggiamento per cui ogni espressione culturale – o del tipo – deve essere spiegata nel quadro simbolico che la produce.
Con il relativismo c’è anche l’universalismo, il riconoscimento del carattere universale di tutti gli uomini. Si oppone all’etnocentrismo, la tendenza istintiva e irrazionale a considerare il proprio gruppo il centro di tutto e a valutare gli altri in relazione a esso. Porta spesso al razzismo, che è l’atteggiamento di rifiuto e chiusura di fronte alla diversità e il credere che il proprio codice e i propri valori siano migliori di quelli degli altri. Nell’Enneagramma si traduce in “Tipocentrismo”, un fenomeno particolarmente presente nei circoli enneagrammatici.
L’antropologo definisce l’ambito della ricerca e quali concetti evidenziare poiché inevitabilmente nella pratica ognuno finisce per privilegiare gli aspetti che ritiene più importanti e che gli sono più adatti. L’ambito e lo scopo sono tendenzialmente condizionati dal tipo di personalità, dall’età, dal genere, dall’istruzione, dalla cultura, dal livello di sviluppo, dal contesto.
Possiamo poi chiederci quanto siamo chiari e coerenti circa l’approccio che abbiamo quando utilizziamo l’Enneagramma. Abbiamo un approccio strutturale o funzionale? Lo strutturalismo considera l’unità psichica del genere umano attraverso l’identificazione di categorie universali della mente. In questo approccio le diversità culturali – o tipologiche – sono varianti di temi costanti inerenti alla struttura psichica umana. È diverso dal funzionalismo dove la società – o il tipo nel nostro caso – è il risultato dell’azione di diverse funzioni che lavorano per mantenerla in vita, come per esempio gli organi del corpo umano.
Wittgenstein ci ha invitato a non pensare in modo lineare, ma a osservare partecipando. La partecipazione e la condivisione di esperienze e situazioni con individui con abitudini diverse dalle nostre è necessaria per cogliere gli schemi. È una pratica ben diversa dalla semplice registrazione di dati.
Nel rapporto tra osservatore e osservato, regole e metodi non sono fissati a priori. Certo è che un metodo è necessario perché ne l’antropologia, ne l’Enneagramma sono tecniche. Possiamo scegliere un metodo induttivo partendo da elementi, dati, fatti particolari osservati per poi arrivare a considerazioni generali. Oppure un metodo qualitativo focalizzandoci su aspetti difficilmente traducibili in dati quantitativi.
Nonostante i contributi pratici e applicativi, l’antropologia culturale resta un sapere accademico-scientifico, non una tecnica o una scienza le cui scoperte possono essere immediatamente tradotte in azione. Lo stesso si può dire dell’Enneagramma. L’Enneagramma non è un metodo, né una tecnica con livelli di difficoltà, è una mappa. Usarlo in modo appropriato coinvolge tutto il nostro essere.
Per quanto invece riguarda l’etica, l’antropologo – e possibilmente anche l’enneagrammista – non pretende di insegnare a nessuno come comportarsi tantomeno utilizzare la conoscenza per dominare, opprimere, discriminare o sfruttare.
L’antropologo osserva, guarda, ascolta, assaggia, tocca, odora. La sua conoscenza è costruita su basi sensoriali, prima di essere tradotta in teorie e modelli. Sul terreno non vede strutture, società, politica, economia, ma persone che si incontrano, parlano, combattono, si scambiano oggetti, producono, costruiscono, mangiano, organizzano, pregano, vivono. Le persone non sono tipi, né stereotipi. Abbiamo bisogno di uscire dai vostri vestiti di gabbie tipologiche e condividere tempo ed esperienze con gli altri. Lavorare con la vita e l’anima delle persone è immergersi in una sorta di dinamica terra di nessuno, in un’area indefinita dove pensieri, emozioni e gesti identificano spazi comuni di comprensione. E’ parte di un’approccio etico anche ripensare sempre al rapporto con la diversità. L’altro resta qualcos’altro e allo stesso tempo ci rendiamo conto di aspetti di noi stessi che l’altro porta dentro di sé.
La dimensione riflessiva è centrale nell’antropologia e anche nell’utilizzo dell’Enneagramma, non solo perché ci permette di cogliere meglio il punto di vista degli altri, ma anche perché possiamo capire meglio noi stessi. Per questo dobbiamo decentrare il nostro sguardo, cercare di osservarci attraverso lo sguardo degli altri. Usare uno zoom adottando la lunghezza focale lunga per osservare i dettagli e grandangolari per catturare l’intera situazione.
Non impariamo ad essere buoni enneagrammisti, lo diventiamo.
“Sto imparando a vedere. Non so perché è così, ma tutto mi entra più a fondo e non si ferma dove prima. Ho un interiorità che non conoscevo… A che serve dire a qualcuno che sto cambiando? Se sto cambiando, non sono più quello che ero.” – Rainer Maria Rilke –
Maura Amelia Bonanno