Una decina di anni fa ho collaborato con un’azienda che si occupava di commercio all’ingrosso di abbigliamento. Ero stata chiamata da uno dei proprietari per facilitare la coordinazione delle squadre di venditori e le loro dinamiche di relazione. Era una giovane impresa molto fiorente, in difficoltà a causa di una crescita molto rapida e importante che non riusciva a gestire.
Quando sono arrivata ho incontrato un ambiente di collaboratori giovane, gestito da tre soci di mezza età. Le squadre erano già strutturate e attive, composte da ragazzi e ragazze per la maggioranza al loro primo impiego e gestite da responsabili di squadra selezionati secondo l’anzianità in azienda e secondo i risultati che avevano fino a quel moneto realizzato come venditori. Ma non è delle squadre che desidero parlare, bensì dei tre soci proprietari.
Diciamo che “per caso” tre individui che si conoscevano poco avevano scelto un paio di anni prima di fondare una società insieme, e sempre per caso, non solo erano riconoscibili in tre tipi dell’Enneagramma diversi – due nel centro delle viscere e uno nel centro della testa – bensì anche in tre istinti dominanti e tre istinti negletti differenti. Sempre per caso ognuno di loro gestiva in modo totale e autonomo l’ambito del proprio istinto dominante, senza bisogno di confrontarsi con i due soci: il socio con istinto Conservazione di sé dominante, sessuale secondario e sociale negletto aveva in mano la sfera amministrativa, il socio con istinto Sociale dominante, conservazione di sé secondario e sessuale negletto gestiva le relazioni interne e quelle commerciali e politiche, il socio con istinto Sessuale dominante, sociale secondario e conservazione di sé negletto si occupava delle strategie operative e di mercato. Apparentemente la situazione ideale, quella in cui la diversità di pile istintive tra i collaboratori è totale.
L’impatto iniziale tra istinti può essere molto forte. Anche senza averne consapevolezza, possiamo trovarci a collaborare con chi ha il nostro stesso istinto dominante per affinità istintiva tanto quanto con chi ha come dominante il nostro negletto perché ne vediamo una convenienza strategica. Cosa rende poi stabile e dinamica nel tempo la collaborazione? La risposta è prevedibile: la consapevolezza delle dinamiche interiori e di relazione.
I tre soci in modo istintivo e probabilmente anche intuitivo hanno inizialmente riconosciuto il valore delle loro differenze e l’impresa ha funzionato più che benissimo per un paio d’anni, crescendo enormemente e molto rapidamente e assicurando incassi importanti. I tre soci si sono accorti di avere un problema a gestire le risorse e la mole di richiesta quando la situazione era già parecchio sfuggita di mano.
Io sono arrivata in una fase in cui sia tra di loro sia con i collaboratori c’era già seria difficoltà a comunicare. Ognuno di loro era blindato in modo ferreo nel proprio pregiudizio istintivo, senza alcuna disponibilità a considerare né la propria rigidità, né l’ascolto di una visione differente. Su alcuni punti tuttavia concordavano. Ognuno di loro voleva fare i soldi, era convinto che per risollevare la situazione bisognasse motivare le squadre di collaboratori, si aspettava che i responsabili delle squadre dovessero già essere automaticamente bravi nel nuovo ruolo quanto lo erano stati come venditori, riteneva che gli altri due soci avessero perso il cervello.
Con tempo, pazienza, ascolto e attenzione ai loro reali bisogni e obiettivi comuni ho accompagnato questa organizzazione in una transizione verso possibilità di relazione differenti.
Poco si cambia ed evolve davvero senza coinvolgere la conoscenza e pratica dell’impatto delle pulsioni che sono la reale spinta delle decisioni pratiche dell’organizzazione. Nelle organizzazioni, come negli individui, a causare problemi sono sia la coazione dell’istinto dominante sia la svalutazione dell’istinto negletto, insieme. Nell’esperienza che ho appena narrato, l’impegno dei tre soci per non naufragare è stato quello di diventare consapevoli della propria coazione tanto quanto dei propri pregiudizi e chiusure.
Le organizzazioni Conservazione di Sé sono generalmente ben strutturate e prudenti nella gestione finanziaria, spesso si occupano di provvedere alle esigenze fondamentali della sopravvivenza e di gestirle: sicurezza, salute, benessere, agio fisico, cibo, edilizia, artigianato, gestione finanziaria, conservazione delle risorse energetiche.
Le organizzazioni Sessuale/Attrazione valorizzano la sperimentazione, la ricerca, l’innovazione, la novità, la contaminazione. Non amano la troppa prudenza, non temono il rischio e l’instabilità del continuo cambiamento, amano la competizione e la concorrenza. Penso alle società di formazione che offrono nuovi stimoli, alle agenzie di viaggi avventura poiché entrambe nutrono la curiosità e spingono alla scoperta di nuovi mondi.
Le organizzazioni Sociale/Adattamento tendenzialmente hanno la forma di cooperative e Onlus, valutano molto l’appartenenza, la reciprocità, la definizione dei ruoli, si occupano anche per esempio di volontariato o progetti che lascino un impatto e facciano la differenza. Sono sociali le organizzazioni la politiche, l’attivismo sociale, i social network.
Quando in un organizzazione c’è incuria per l’Istinto di Conservazione il pericolo è la mancanza di buone fondamenta solide, di coerenza, di struttura e di adeguata gestione amministrativa. L’importanza della gestione delle risorse, in particolare del tempo necessario per lo sviluppo di un progetto, è sottovalutata.
Quando in un’organizzazione c’è incuria per l’area Sessuale/Attrazione c’è il rischio di confondersi nella giungla del mercato e di essere poco competitivi, di evitare qualsiasi rischio, di avere grandi difficoltà ad affrontare i necessari o inevitabili cambiamenti, di concentrarsi sui dettagli e perdere di vista la visione.
Quando in un’organizzazione c’è incuria per l’istinto Sociale/Adattamento può mancare l’interesse alle interazioni e a fare rete, alle connessioni tra colleghi e con l’esterno, può esserci scarsa definizione dei ruoli e limitata comunicazione interna. Le dinamiche relazionali, il senso di appartenenza e di collaborazione sono sottovalutati.
L’Enneagramma è una mappa ed è anche una bussola. Indica la direzione e la strada da percorrere. Per non limitarsi a giocare e ammazzare il tempo facendo congetture sulla mappa e sulla bussola, è necessario muoversi e per muoversi è necessario un veicolo e l’abilità a condurlo. Chi ha l’onore e l’onere di facilitare e sostenere il processo di trasformazione utilizzando l’Enneagramma ha la responsabilità di saper guidare molto bene il veicolo o i veicoli che utilizza.
Maura Amelia Bonanno