In occasione dell’ultimo Festival di Sanremo le analisi avevano anticipato il primo posto a Fiorella Mannoia, che ha stupito non abbia davvero vinto la gara. Pochi giorni fa ha fatto notizia l’errore di chiamata sul palco a ritirare l’Oscar del film La La Land, già particolarmente spinto sui media nei giorni precedenti. Recentemente Gabriele Rossi ha conquistato il pubblico ed è stata la vera grande rivelazione del Grande Fratello Vip e Jonas Berami, secondo classificato sull’Isola dei famosi è stato fino alla fine il vero protagonista. L’aspetto interessante di questi eventi è che in pochissimi ci ricordiamo chi si è aggiudicato il primo posto. E anche nel caso lo ricordassimo, è una meteora.
Questo mi fa riflettere su una tendenza e attitudine globale, quella che l’informazione pubblica riflette la facilità con cui la maggioranza di noi si identifica e costruisce un legame emotivo con chi arriva secondo. Non vogliamo identificarci con i perdenti e ci è difficile identificarci con i vincenti. E’ una scelta conflittuale: vorrei sentirmi un vincitore, ma poi penso che il vincitore contemporaneo è uno o una che davvero non se lo merita, che ha la fortuna di avere le conoscenze giuste, oppure è solo attraente e ha il carisma giusto, oppure ha i soldi per pagarsi il posto sul podio o in vetrina. Di identificarmi con tutti gli altri perdenti veri dal terzo un giù, davvero non se ne parla. Il secondo invece mi sta simpatico.
Nella coscienza collettiva il secondo è uno o una che ci ha provato con tutte le sue forze e che ha la passione vera per ciò che fa, ma che purtroppo non può vincere sulle politiche, i soldi o la seduzione. Proprio come me. Eccoci identificati con chi giustifica il nostro stato di mezzo, quello in cui sia pensare in grande ed esprimere chi siamo davvero, sia mollare e rinunciare completamente a chi siamo è pericoloso per la nostra immagine abituale. Quello stato di mezzo e di addormentamento in cui diamo cibo emotivo agli istinti di sopravvivenza, in cui giustifichiamo la scelta di rimanere imprigionati nelle convinzioni che ci hanno permesso di sopravvivere alla meno peggio fino a oggi.
Ciò che mi arriva chiaro, sempre più chiaro da quando nello studio, esplorazione e applicazione dell’Enneagramma nella mia vita ho iniziato a dedicarmi abbondantemente ai Centri di Intelligenza e alle Varianti istintive, è che i modi specifici con cui manipoliamo noi stessi, boicottiamo il nostro sé migliore, controlliamo gli altri e cerchiamo di raggirare le situazioni sono quelli rappresentati proprio dalle qualità malsane descritte dai punti sul triangolo centrale (su cui tornerò un’altra volta) e dagli istinti distorti. Il Tipo è per me importante in quanto modo, stile e colore con cui applichiamo tali aspetti della nostra esperienza.
L’Enneagramma descrive tre varianti istintive negli esseri umani, tre aspetti della sopravvivenza – fisica, energetica e associativa – tutti e tre necessari e tutti e tre presenti anche in maniera funzionale in ognuno di noi. Anche se abbiamo tutti e tre gli istinti, tendiamo a dare delle priorità e nessuno ha equilibrio nell’utilizzarli. Quando non siamo presenti agiamo di impulso seguendo la nostra priorità istintiva che non è negoziabile e ha sempre fame e che la passione del nostro Tipo spinge in modo sempre più violento. Inoltre, uno dei tre istinti è per ognuno di noi negletto, un luogo interiore particolarmente difficile da riconoscere perché essendo cieco porta con sé un profondo senso di mancanza e deficienza. In quest’ottica, se il mio istinto negletto è quello legato alla sopravvivenza delle risorse mi sento come il secondo classificato che come me ce la mette tutta ma sarà sempre vinto da chi le risorse le gestisce meglio, da chi ha i soldi e compra il proprio successo. Se il mio istinto negletto è quello legato alla sopravvivenza energetica, amo il secondo classificato che come me è tanto più bravo del primo, ma come me è incapace di farsi notare, di brillare accanto a un vincitore così spavaldo e carismatico. Se il mio punto cieco è legato alla sopravvivenza associativa, mi identifico con un secondo che probabilmente come me non ha le conoscenze giuste e la capacità di farsi degli alleati importanti per avere un posto al sole come il primo classificato.
Insomma, ognuno di noi ha la propria storia personale preferita da raccontarsi per rimanere addormentato nel mezzo, il proprio prevedibile copione, il proprio film da recitare per continuare a non scegliere davvero, per giustificare il credere a tutto ciò che pensa, che prova, che si immagina e che interpreta sempre nello stesso modo. Per perseverare nel fare sempre le stesse cose sperando che la volta dopo andrà diversamente, insistere nel considerare l’altro e la società come causa del proprio stato di insoddisfazione perenne.
Lo stile e la qualità dell’informazione pubblica e della comunicazione mediatica sono uno specchio eccellente di ciò che ci raccontiamo. Anche se in questi meccanismi individuali e globali ci siamo dentro fino al collo, se vogliamo possiamo osservarli e magari non annegarci completamente dentro, e un passo alla volta costruire uno spazio di uscita, libertà e respiro. Sono meccanismi che hanno delle regole riconoscibili che in molti casi l’Enneagramma, quando ben compreso e applicato in modo non semplicistico, spiega in modo eccellente, illuminante e prezioso.
Maura Amelia Bonanno