Da qualche tempo è per me difficile scrivere l’articolo mensile. C’è una voce interiore che mi dice che è già stato scritto tutto, un ambiente emotivo disinteressato alla “creazione di contenuti” da gettare nell’oceano di ovvietà in cui navighiamo, una richiesta del corpo di equilibrio e di attenzione a evitare la sovra-stimolazione da eccesso di informazioni.
La grande maggioranza degli esseri umani sta correndo a grandi falcate verso la trasformazione in pura macchina. Segue ciecamente le chimere della facilità e della comodità immediata, spesso credendo illusoriamente di scegliere liberamente e coscientemente.
Scrivo quindi rivolgendomi a tutti gli altri, a chi ha capito che il Lavoro non consiste nello sfuggire alla tempesta, nell’inventarsi un piano B, nel salvare le proprie terga attraverso stratagemmi, bensì nello scoprire il terreno incrollabile dell’essere che è sempre e già qui e che è l’unica esperienza umana importante.
Per me è molto chiaro che il Lavoro di questi anni è unicamente quello di coltivare coscienza e consapevolezza e personalmente di esserci per chi desidera il mio aiuto o la mia presenza. Il disfacimento di tutte le sovrastrutture individuali e sociali è un’occasione preziosissima per chi vede in ciò un obbligo divino a scoprire e stare nella sostanza più profonda della presenza. Navigare in acque turbolente è un invito sacro ad approfondire la propria stabilità interiore e rimanere radicati nel proprio centro.
Mi rivolgo a chi vuole rimanere umano, coltivare presenza non come stato momentaneo, ma come forza tangibile e radicante che ci sostiene nell’affrontare le sfide della vita.
A chi ha capito che la spiritualità non sono le improbabili citazioni copiate e incollate sui social, a chi riconosce quanto sono vuoti, inutili e fuorvianti i contenuti proposti dalla cosiddetta “intelligenza” artificiale.
A chi vuole davvero imparare a vedere che i tipi dell’Enneagramma descrivono cosa non siamo, bensì ci mostrano come riconoscere la nostra meccanicità, i nostri automatismi che ci allontanano dalla forza della vita.
A chi ha il coraggio di impegnarsi a imparare ad ascoltare se stessi oltre le convinzioni, la reattività e i pregiudizi e di esplorare la meraviglia dell’espressione divina di questo corpo.
A chi intende riconoscere l’opera meccanica dell’accidia quando nell’automatismo del nostro punto nove è impossibile sentire davvero il dolore per ciò che sta accadendo in Medio Oriente e nelle guerre in corso, e la dissociazione, il disimpegno, il voltarsi dall’altra parte, sembrano essere l’unica via per avere un po’ di pace interiore.
A chi aspira di cogliersi in fallo nell’operare meccanico della codardia quando nell’automatismo del nostro punto sei è impossibile prendersi la responsabilità di essere complici dell’orrore di un genocidio con le proprie scelte, e le giustificazioni, il biasimo, la difesa delle proprie posizioni sembrano essere l’unico modo per gestire la paura.
A chi desidera vedere l’opera meccanica della vanità quando nell’automatismo del nostro punto tre è impossibile ammettere la propria immoralità e il disinteresse per le atrocità che stiamo compiendo, e l’inganno, la falsità e l’esibizionismo sembrano essere l’unica possibilità per evitare la vergogna e per sentire di valere qualcosa.
A chi aspira a notare l’opera meccanica dell’ira quando nell’automatismo del nostro punto uno è impossibile riconoscere l’ipocrisia del nostro agire secondo principi che critichiamo, e la condanna, il moralismo, la recriminazione, sembrano essere l’unica via per sentirsi ragionevoli, oggettivi e giusti.
A chi intende riconoscere l’opera meccanica dell’invidia quando nell’automatismo del nostro punto quattro è impossibile sentire davvero il dolore, la sofferenza e la paura degli altri come anche nostri, e la durezza, il vittimismo, l’indulgenza con la propria volubilità, sembrano essere l’unica via per sentirsi sensibili, autentici e importanti.
A chi vuole svelare l’opera meccanica dell’orgoglio quando nell’automatismo del nostro punto due è impossibile ammettere il proprio egoismo ed egocentrismo, e la manipolazione emotiva, il sentirsi autorizzati a tutto, la co-dipendenza, sembrano essere l’unica via per sentirsi indispensabili e pieni di buone intenzioni.
A chi auspica di conoscere l’opera meccanica della lussuria quando nell’automatismo del nostro punto otto è impossibile provare tristezza e fragilità per la crudeltà e l’oppressione inflitta ai nostri fratelli e sorelle nel mondo, e il soddisfacimento personale materialistico, la prepotenza, la belligeranza, sembrano essere l’unica via per sentirsi potenti.
A chi chiede di vedere l’opera meccanica dell’avarizia quando nell’automatismo del nostro punto cinque è impossibile rimanere nella mancanza di senso dell’auto-distruzione che l’uomo sta perpetrando, e l’analisi razionale, la costruzione di teorie, l’arroganza intellettuale, sembrano essere l’unica via per credere di capirci qualcosa.
A chi intende riconoscere l’opera meccanica della gola quando nell’automatismo del nostro punto sette è impossibile riconoscere la propria e altrui schiavitù interiore come fondamento del dolore che l’umanità sta vivendo, e la superficialità, la fuga da se stessi, l’evasione dalla realtà, sembrano essere l’unica via per sentirsi liberi.
Riconoscere con radicale onestà il funzionamento della macchina, crea uno spazio interiore che permette a un livello di coscienza più profondo e più ampio di manifestarsi. Non elimina i problemi, non cambia la situazione, ma cambia radicalmente il nostro modo di viverli e di affrontarli. Spazio è la parola magica. Intenzione a creare spazio interiore è la via verso sempre maggiore libertà dalla meccanicità.
Richiede coraggio costante, speranza accesa, amore in azione.
Questo auguro per il nuovo anno: la decisione cosciente della strada che si vuole sostenere.
Maura Amelia Bonanno