Che c’è di male nel volersi sentire a proprio agio? Volersi sentire a casa in se stessi, in pace e armonia è un impulso elevato e bellissimo. Possiamo concordare sul fatto che il benessere è un desiderio comprensibile e sensato, ma non lo è più quando è una reazione al senso di perdita dell’Essere, una ricerca coatta e inconsapevole di ricreare l’idea che abbiamo dell’esperienza dell’unità. Vogliamo sentirci completi e interconnessi, parte di un universo buono e inclusivo, e finiamo per chiuderci in una prigione di distratta trascuratezza.
In questo anelito alla fratellanza mondiale si nascondono tuttavia diverse possibili trappole. Molti individui si sforzano di essere pacifisti per evitare attriti e conflitti e insistono a mantenere “vibrazioni alte” per creare un lieto fine in cui inevitabilmente il bene vince sempre senza bisogno di fare alcunché. Un desiderio che si basa sull’idealizzazione di un amore universale che ha determinate condizioni e sulla convinzione che spiritualità e materia siano separate. Questo preconcetto porta a impegnarsi nel voler colmare tale separazione, a cercare di ricreare il contatto con un amore onnicomprensivo e benevolo. Si allontana ciò che disturba e che anche solo come possibilità potrebbe minare la propria idea di benessere, pace e spiritualità. Alcuni arrivano persino a considerarsi parte di una specie superiore, unica destinata a sopravvivere a detrimento di chi meno consapevole si estinguerà. Altri arrivano a rifiutare di porre attenzione e cura al regno della materia e alla propria esperienza nella carne. Altri cancellano se stessi, ciò che realmente pensano e provano, addormentano la vitalità, i bisogni e i desideri per un quieto vivere che possa assomigliare all’armonia, per evitare screzi con gli altri e sentirsi quelli pacifici, calmi e spirituali in un mondo turbolento di gente litigiosa. In questi ultimi tre anni abbiamo abbondantemente assistito ad arcobalenici “andrà tutto bene” e a estese invocazioni alla pace.
La trappola è che quando la pace si basa sull’evitare la frizione interiore ed esteriore, ci si imbarca nella direzione inversa a quella anelata, quella della separazione. Questa tendenza porta a sentirsi inferiori, perennemente frammentati dentro e separati dagli altri e da tutto ciò che è buono e piacevole.
La credenza che spiritualità e pace significhino assenza di conflitto porta a non impegnarsi con se stessi, con il mondo e con la vita, e anche a confondere l’esperienza dell’Assoluto con l’inerzia e l’apatia.
La deriva della New age sta abbondantemente alimentando il malinteso della mente riguardo all’”essere qui e ora” come unica condizione necessaria per essere spirituali. “Essere qui e ora” non indica il momento presente, poiché il presente è nella corrente del tempo, tra passato e futuro. Essere qui e ora è un salto di coscienza verso una dimensione oltre il tempo e lo spazio che richiede maturità sia psicologia, sia spirituale. “Essere qui e ora e riposare nell’Essere” non significa evitare di fare qui e ora, inazione nel momento presente. Questa attitudine rinforza la confusione tra la diretta esperienza dell’Assoluto e il prematuro assunto di “sostare in Esso”, provoca una affrettata asserzione di illuminazione basata su una sensazione intuitiva di brevi visioni, nutre il l’illusione di potere dell’ego spirituale nel mercato New age.
Questo schema mantiene dormiente la rabbia oppure porta a disconoscerla. Nutre la proiezione che il riscontro degli altri contenga sempre, per quanto blanda, una aggressione. Spinge a seguire ruoli e aspettative convenzionali, a semplicizzare o sviare il disagio sentendo di dover appianare le onde, di dover assecondare l’ambiente e le persone. Il buonismo di questo schema vive con il senso di responsabilità personale a tranquillizzare se stessi e gli altri, a consolare e rassicurare. Provoca un ostinato rifiuto verso l’affrontare difficoltà e problemi e trasforma l’intuizione in fantasia consolatoria e sogno a occhi aperti. Sono gli altri a essere troppo materialisti, a non essere abbastanza“spirituali”, che creano problemi, che dovrebbero calmarsi.
Spesso al dialogo interno ricco di giudizi circa il giusto modo di relazionarsi per essere in pace nella fratellanza, si accompagnano la dolorosa esperienza emotiva di essere dimenticati, di separazione e rassegnazione, e anche specifiche tensioni fisiche nella zona del bacino, del petto e della gola. La sensazione è quella di essere prigionieri di un corpo scomodo e molto pesante, di contrastare quella pesantezza tirandosi su, come a cercare di sollevarsi da terra.
Proprio qui, nel corpo, si cela un’incomprensione riguardo la natura duale del mondo manifesto e la sua importanza. Gli insegnamenti spirituali sono importanti nel nostro processo di risveglio ed evoluzione della coscienza, tuttavia non basta saperli, non basta leggerli o pubblicarli sul profilo social, è necessario che ci tocchino molto profondamente.
Anche le pratiche spirituali sono un aspetto della partecipazione nel processo della vita per il bene dell’evoluzione della coscienza stessa e si chiamano pratiche perché sono pratiche, necessitano un agire con impegno costante e totalità. Implicano un agire con dedizione costante, responsabilità e totalità, e sono calate nella realtà materiale e duale per comprendere l’importanza di impegno, dedizione e responsabilità per la dimensione relativa della realtà e che l’illuminazione è più di una scoperta liberatoria della natura non-duale delle cose. Questo impegno fa una autentica differenza in questo mondo pazzo, diviso e sofferente. Se così non è allora sono strategie di fuga motivate dalla paura, dalla rabbia e dalla sfiducia, non dall’amore. La presenza a se stessi che accompagna le reali trasformazioni ed evoluzioni è possibile solo con il riconoscimento e l’accettazione dell’intensità dell’energia e delle esperienze e con il permettersi di viverle. Il rifiuto di parti di se stessi, soprattutto quando non riconosciuto, porta al rifiuto dell’altro e della vita ed è dolorosissimo. È un costante abbandono di se. È dissociazione, disperazione.
Qualcuno ora ha già compreso che le qualità dell’esperienza che sto descrivendo appartengono al punto Nove dentro ognuno di noi. Ovviamente molto più forti e radicate per chi vive in questo territorio, Il tipo Nove. Tuttavia è importante riconoscere quanto tutti, indipendentemente dal tipo, abbiamo accesso alle qualità di questo punto soprattutto quando siamo nell’area della spiritualità.
C’è una parte di noi che costantemente vuole ritirarsi dalle cose difficili, che preferisce rimanere nel proprio piccolo mondo, che non vuole lasciarsi influenzare dalle esperienze, che cerca di creare una falsa versione della pace, dell’armonia, del benessere e dell’agio che mai potrà soddisfarci.
Tutti abbiamo fatto esperienza del preferire mostrarsi apparentemente accomodante all’avere connessione con il proprio corpo, i propri reali bisogni e desideri. A rendere ancora più complicato questo schema c’è il fatto che il punto Nove in ognuno di noi è in perenne conflitto con un’altra parte di noi, quella che trova difficile ammettere che siamo disonesti con noi stessi, che nega la propria trascuratezza e distrazione, che ha totale disinteresse ad affrontare i problemi, a esplorare il conflitto interiore. Sotto il tappeto del buono e gentile ci sono rabbia e aggressività.
Come pratica per scoprire il nostro punto Nove bloccato nello schema limitante potremmo fare una lista dei modi in cui posponiamo il vivere più pienamente la nostra vita, le situazioni in cui generalmente ci addormentamento, se ci sono particolari condizioni che incitano questo comportamento. Potremmo identificare le situazioni che in qualche modo ci fanno desiderare di non essere lì, ricordare le volte che abbiamo perso coscienza di noi stessi, magari perdendoci a guardare la televisione per ore, o mangiando, o dormendo, facendo mente locale su ciò è successo subito prima. Poi è utile intercettare una reazione tipica di questi momenti: un pensiero, un’emozione o una sensazione fisica. Più diventiamo coscienti di cosa nascondiamo a noi stessi, più possiamo usare queste informazioni come segnali quando accadono nuovamente, per evitare di spegnerci. Conoscere come funzioniamo nella mente, nel cuore e nell’agire è l’unica via di libertà dall’automatismo.
Il paradosso è che possiamo essere davvero a nostro agio ed efficaci veicoli di pace, bontà e armonia solo se partecipiamo totalmente e onestamente all’esperienza, senza nasconderci. Partecipare totalmente all’intensità della propria esperienza e agire in modo consapevole e presente a essa è il passo fondamentale che questo punto ci invita a fare per sentirci a nostro agio nel mondo. L’essere ciechi a se stessi, particolarmente alla propria energia di rabbia, è una caratteristica importante del punto Nove a Livelli medi e bassi, ben mascherata dall’accondiscendenza e dal buonismo, attitudini che portano a esprimere l’aggressività in modo passivo.
Essere presente con la propria rabbia e con i propri conflitti interiori senza spegnersi è essere presenti a se stessi, è avere chiarezza dei bisogni e dei sani confini, cosa ben diversa dal riversarla sugli altri.
È necessario rendersi conto di essere finiti in questa trappola per poterla accogliere e per intenzionalmente permettere un movimento oltre la essa. Consapevolmente concedere all’energia che ci scorre dentro di essere quello che è per comprendere che solo se siamo presenti e partecipativi anche nelle frizioni possiamo apprezzare e godere delle opportunità della vita, sentire l’unità che desideriamo e avere un grande impatto positivo nel mondo.
Il primo sostegno per accettare l’intensità dell’energia interiore è la presenza nel corpo. Non nell’idea che ne abbiamo, non a come ci fa sentire emotivamente, bensì proprio nei sensi, nei muscoli, nel sangue, nelle ossa, nelle viscere. E poi lasciare spazio alla trasformazione di questa energia. Tutto questo aiuta a rimanere collegati all’interiore senso di unità, bontà, gentilezza, quiete. E anche a riconoscere che l’agio e il benessere non richiedono lo sforzo e l’annientamento di se che ci immaginiamo e che ci infliggiamo. Conduce al voler smettere di credere che qualcosa accadrà solo perché lo desideriamo intensamente, a essere stufi di immaginare soluzioni magiche e a voler condividere il nostro valore, a partecipare con il nostro agire nel mondo.
Abbiamo bisogno di ricordare che non siamo mai stati separati dall’universo, dalla corrente del tempo, dal diventare, dal processo creativo. Essere è diventare, non c’è differenza, è un rivelarsi esistenziale. È possibile percepire il proprio sé non manifesto, intrinsecamente libero, e al contempo riconoscere la propria incarnazione evolvente di un universo in continua trasformazione. Siamo dei e uomini, vuoto e forma, carne in un qui e ora senza tempo e spazio. Sono in questa dimensione della realtà davvero non c’è nulla da fare, non c’è una persona che agisce o non agisce. Ma per comprenderlo è necessario abbracciare il mondo con tutte le contraddizioni e i conflitti e vivere e riconoscere gli attaccamenti e le separazioni nelle viscere. Entrare dentro la carne completamente per scoprire il proprio volto come null’altro che l’Essere.
Il mio augurio è che questi mesi invernali siano dedicati al sostegno di pratiche che ci aiutino a essere onesti con noi stessi, ad ascoltarci e a impegnarci in ciò che è necessario per uscire dall’ipnosi.
Maura Amelia Bonanno